La sovranità alimentare è un principio riconosciuto come fondamentale a livello nazionale, regionale e comunitario. Tra le molte definizioni, quella redatta dalla Commissione Internazionale per il Futuro dell’Alimentazione e dell’Agricoltura nel 2006 a Firenze, coglie pienamente la portata e il coinvolgimento di ogni componente sociale e istituzionale nel tentativo di rendere possibile una produzione alimentare sana e sostenibile ad ogni popolo senza distinzione di area geografica di riferimento: “ Gli organismi e le comunità locali, nazionali e regionali a ogni livello hanno il fondamentale diritto e dovere di proteggere, sostenere e supportare tutte le condizioni necessarie ad incoraggiare una produzione alimentare abbondante, sana, accessibile a tutti e tale da conservare la terra, l’acqua e l’integrità ecologica dei luoghi in cui viene prodotta, rispettando e sostenendo i mezzi di sussistenza dei produttori.”

Gli elementi che compongono quello che il dibattito internazionale odierno definisce come la “nuova scarsità” hanno un collegamento diretto con le questioni legate alla terra e allo sviluppo rurale: l’instabilità dei mercati delle materie prime agricole e il variare dei prezzi alimentari, la crescita demografica e la modificazione delle diete a livello globale, i vincoli ambientali alla produzione di cibo e le conseguenze del cambiamento climatico. Il costo del cibo è destinato ad aumentare per tutti con un impatto che non vedrà negativamente coinvolte solo le fasce più povere della popolazione mondiale, ma manifesta significative ricadute anche nei Paesi ricchi.

In questa prospettiva risulta primario e irrimandabile il bisogno di una vasta diffusione critica di queste tematiche prioritarie focalizzate intorno agli Obiettivi del Millennio, con particolare attenzione all’obiettivo numero 7 “Garantire la sostenibilità ambientale” e all’obiettivo numero 1 ”Sradicare la povertà estrema e la fame”, per sensibilizzare una nuova cittadinanza attiva e responsabile, attraverso una maggiore informazione sia in ambito scolastico ai  diversi livelli di apprendimento sia attraverso eventi aperti al pubblico, con un importante collegamento alle esperienze di cooperazione internazionale italiana nei Paesi in via di sviluppo e il contributo che i programmi realizzati dalle Ong proponente e dalle ong partner hanno dato ai processi di sviluppo sostenibile e alla lotta alla povertà.

 

I "segni del tempo" sono ogni giorno di più sottolineati dagli analisti internazionali. Il più clamoroso è l'esponenziale incremento della domanda internazionale di terra. Paesi dotati di grande liquidità ma di scarse estensioni di superfici coltivabili, multinazionali agricole, agglomerati finanziari di diversa natura hanno iniziato ad acquisire o affittare milioni di ettari, soprattutto nelle aree più povere del globo, acquisendo parti significative di altri continenti, con importanti conseguenze per gli equilibri economici e politici internazionali, con negativi effetti sul benessere di aree come l’Italia e l’Europa, coinvolte in questo movimento dalla sempre maggiore integrazione del mercato delle materie prime agricole nella finanza globale. Si stima che negli ultimi 10 anni l’acquisizione o l’affitto di terre nel Sud del mondo abbia interessato oltre 200 milioni di ettari. Un’area equivalente a otto volte la dimensione del Regno Unito (fonte Land Matrix). L’80 percento di questa terra viene utilizzato per la produzione agricola di cui tre quarti per la coltivazione di biocarburanti. Molta di questa terra è di alta qualità per la disponibilità di acqua, la vicinanza ad infrastrutture, la fertilità. E, soprattutto, è già abitata e coltivata da popolazioni locali. L’agricoltura contadina che è la principale responsabile della sicurezza alimentare a livello locale viene cacciata, emarginata e sostituita dalla grande agro-industria orientata all’esportazione. Si crea poca occupazione e la catena del valore in cui si inseriscono queste coltivazioni non va a vantaggio della popolazione locale. L’acquisizione e l’affitto di terra è un fenomeno che è storicamente sempre esistito, ma vi sono nuove tendenze che inducono a pensare a una sua accelerazione e crescente pervasività. Le cause sono diverse. La principale consiste nel fatto che la terra, e non solo il petrolio, sta diventando una risorsa strategica per il potere di stati, per il mercato e il profitto, per mantenere o raggiungere stili di vita più ricchi. Ma, prima ancora, l’accesso alla terra diventa questione di vita per molte popolazioni locali. E alcune cause ci riguardano direttamente anche i cittadini italiani in quanto europei. La politica energetica dell’UE si è indirizzata verso l’utilizzo di biocarburanti e quindi incentiva le imprese ad acquisire terre per coltivare soia, mais, grano, canna da zucchero, olio di palma. La politica di cooperazione europea in alcuni casi aiuta i paesi in via di sviluppo ad adottare politiche e a investire in programmi per i biocarburanti.  Banche europee finanziano le operazioni e imprese europee investono direttamente nei terreni, nella trasformazione e distribuzione. La politica commerciale e per gli investimenti esteri dell’Europa protegge le aziende dei paesi europei che operano nei paesi in via di sviluppo, mettendo in secondo piano i bisogni e gli impatti sulla popolazione locale. Questa politica favorisce la grande agro-industria, a danno dei piccoli agricoltori locali.

Il dibattito europeo sta portando anche l’UE a proporre modifiche relativamente alla  politica energetica, tendenzialmente disincentivando le produzioni di agro combustibili a favore di energie rinnovabili che non implichino l’accaparramento della terra. A questo proposito il 17 ottobre 2012 la Commissione europea ha proposto nuove norme per tenere maggiormente in conto degli effetti di accaparramento della terra e dell’emissione indiretta di gas serra dalla produzione di biocarburanti. Numerosi studi hanno infatti dimostrato che non c’è futuro per la produzione di biocarburanti di prima generazione perché sono peggiori di quelli fossili. La produzione di biocarburanti provoca un cambio di destinazione d’uso della terra (indirect land-use change, IULC), attraverso la distruzione delle foreste, di terre umide e dell’agricoltura contadina, che provoca indirettamente un aumento delle emissioni di gas serra riducendo la capacità di assorbimento di carbonio. La nuova proposta, che dovrebbe emendare la Direttiva sui biocarburanti, impedisce l’incentivo a sostituire le piantagioni rivolte all’alimentazione con quella per la produzione di biocarburanti. D’altra parte, peraltro, la versione finale della proposta della Commissione ha eliminato l'idea di introdurre nella Direttiva sulla qualità dei carburanti la contabilità obbligatoria del loro impatto in termini di ILUC, rimandando tutto al 2017 quando verrà avviata una revisione scientifica della questione.

Partendo da queste riflessioni l'Osvic ritiene prioritario di individuare l'ambito della sovranità alimentare come fondamentale all'interno della strategia di azione dell'Organismo proponendo progetti ed iniziative a favore della salvaguardia e della promozione del diritto al cibo, in Africa e America Latina